Nel mese di gennaio si condensano varie ricorrenze riguardanti la vita di Nomadelfia. La prima Messa di don Zeno il 6 gennaio, il 15 la sua morte e il 22 l’anniversario della seconda-prima Messa e dell’approvazione di Nomadelfia da parte del Vescovo di Carpi.

“Mio Gesù Caro,
io sono sulla via del mio sogno, morirti sul cuore tuo.
La vecchiaia tenta di affogarmi; ma non voglio se non vivere fino a l’ultimo respiro.
Sì, voglio essere ancora giovanissimo e voglio amarti in canto alla vita. Voglio viverti.
Infatti se tu, mio Gesù, vivi con me questo valzer che è tanto bello… La terra diventa più bella”.

Era il 15 gennaio 1981. Circondato dai suoi figli don Zeno Saltini parte per la vita eterna. Non aveva paura lui, soffriva molto, ma era felice. Qualche giorno prima aveva detto: “Se il Signore mi chiama adesso io lo ringrazio, se mi chiama domani è la stessa cosa, se devo riprendere è sempre la stessa cosa”. Aveva una fede granitica, un’umiltà audace, una fiducia smisurata in quel suo Caro Gesù con cui aveva danzato tutta la vita. Aveva chiesto una festa per quando sarebbe morto e i suoi figli lo presero di parola e danzarono veramente intorno alla sua bara.

Non ho mai avuto il piacere di guardarlo negli occhi, ma ho ascoltato molte volte la sua voce. Chi lo ha conosciuto dice che era veramente un padre. Lo era diventato ufficialmente il 6 gennaio 1931, nel giorno in cui celebrava la sua prima Messa. Barile era appena uscito dal carcere e don Zeno lo volle accogliere come figlio in casa sua. Fu il primo di molti. Nel cuore aveva però sempre chiara la meta: Cambiare civiltà cominciando da se stesso. L’aveva deciso all’età di 20 anni, dopo una violenta discussione con il suo migliore amico, e tutta la sua vita è stata la risposta a quel confronto.

È nata lì Nomadelfia, sopra quell’altare, e da quella fonte è scaturita come un fiume in piena una storia nuova, fresca, genuina. Ci sono state salite impervie, come quando nel 1952 la Chiesa gli ha ordinato di allontanarsi dai suoi figli, ma la sua risposta è sempre stata l’obbedienza, pronto a rimboccarsi le maniche nella certezza che Dio non lo avrebbe abbandonato mai. Eppure dal 5 febbraio di quell’anno, per 9 anni non ha celebrato la Messa. Non si trattava di una punizione, era stato lui a chiederlo al papa pur di rimanere accanto alla sua gente.

È stato solamente il 22 gennaio 1962 che ha potuto risollevare il calice nella sua seconda-prima Messa, l’hanno chiamata così i giornali. La data l’aveva scelta don Zeno per ricordare il 22 gennaio del 1933, quando il Vescovo di Carpi, Mons. Giovanni Pranzini, aveva aperto la strada all’inizio del suo operare. In quell’occasione era come se Dio stesso avesse riconosciuto la fondazione di questo piccolo tentativo di società fraterna. Per questo ancora oggi a Nomadelfia si fa memoria di questo giorno, ricorrenza della nascita ma anche della rinascita della città della fraternità.